La Repubblica Presidenziale; un’idea che si fa strada Pacciardi: non è l’Italia sognata da Mazzini di Francesco Nucara Lo scorso 14 aprile ricorreva l’anniversario della scomparsa di Randolfo Pacciardi. Nel 2009, in occasione della ricorrenza della Repubblica Romana, ricordammo la figura dell’Uomo Politico repubblicano con un numero speciale del nostro giornale. Recentemente Stelio De Carolis l’ha ricordato con una pubblicazione "leggera" ma significativa nei contenuti. Forse Stelio De Carolis potrebbe dirci, come giovane testimone di allora, cosa successe in quel lontano congresso del 1962 a Bologna. Congresso che cambiò la storia del PRI e forse della stessa Italia. Forse riusciremo a sapere qualcosa di più sul perché tanti romagnoli, "fedelissimi" di Pacciardi, lo abbandonarono proprio in quel congresso, che vide la vittoria della linea politica tracciata da Ugo La Malfa e condivisa dall’allora segretario nazionale Oronzo Reale. In quell’occasione certamente il PRI e i repubblicani mandarono in soffitta un pezzo importante della storia del loro partito, dell’antifascismo militante e impegnato nell’azione militare partigiana, un pezzo di storia della "Mazzini Society" di New York. I repubblicani purtroppo sono adusi a dimenticare rapidamente, nel bene e nel male. Per avere idea di chi fosse Pacciardi come Repubblicano (la maiuscola è d’obbligo) basterebbe leggere l’ultima parte del suo libro (e non è che di libri o scritti di Pacciardi se ne trovino molti) "Battaglione Garibaldi", che narra della sua partecipazione alla guerra civile di Spagna contro Francisco Franco. Le ultime parole di quel libro, editato nel 1938 e ristampato nel 1945, così citano: "Ricordo la comunione, la commozione dei cuori nei momenti gravi. Ricordo gli occhi smarriti e buoni quando toccò anche a me l’invidiabile onore di dare un poco del mio sangue all’idea che ci bruciava e ci spiritualizzava come la più santa di tutte le fiamme. Non sempre avanzammo, ma non ripiegammo. Mai." Queste ultime sette parole danno il senso dell’onore, della fede in qualcosa che va oltre noi stessi e che necessita di rimanere tale, per essere perpetuata in avvenire da altri uomini e donne, protesi continuamente a migliorare le condizioni dell’umanità intera, secondo il verbo mazziniano. Pacciardi politico deriso dal "suo" partito, perché portatore di ideali "fascistoidi", è stato anticipatore di una politica moderna, di cui tutti oggi avvertono il bisogno anche se con ipotesi diverse: la Repubblica presidenziale. Ammesso e non concesso che questo tipo di Repubblica non sia già in essere. Pacciardi, tuttavia, non era il solo a indicare la Repubblica presidenziale come sbocco per una efficiente ed efficace democrazia. E lo fece fin dal dibattito nella Costituente. Anche Leo Valiani fu per la Repubblica presidenziale. Leo Valiani, però, nel PRI non contava nulla, se non su una più che solida amicizia con Ugo La Malfa. E tuttavia nel 1992, malgrado circolasse la candidatura di Giovanni Spadolini a Presidente della Repubblica, l’allora segretario del PRI invitò i parlamentari repubblicani a votare Leo Valiani. Avevamo accettato l’idea che una repubblica presidenziale fosse possibile, anzi auspicabile? Pacciardi era cresciuto politicamente e professionalmente alla scuola di Giovanni Conti. Ed è per questo che il suo mazzinianesimo era a prova di bomba. Forse questo fu il motivo di tanti contrasti tra chi teneva lezioni su Mazzini, da esule, nei licei svizzeri, e chi dichiarava orgogliosamente di aver spento i lumi a Mazzini. Non erano incompatibile le due posizioni, lo divennero per la forte personalità di due uomini, Pacciardi e La Malfa, che contribuirono a fare la storia dell’Italia moderna. In un’altra parte del libro già citato, Pacciardi dice: "Finiamola con le esperienze infernali della fazione sopraffattrice. Restituiamo l’Italia agli italiani". Ci si trovava nel momento di una guerra infernale, quella di Spagna, ma possiamo ben dire che quelle parole suonano profetiche per l’attuale situazione italiana, anche se non ci sono fucili e mitraglie, ma spread ed esodati, spreco di risorse finanziarie, "gentilmente" devolute ai partiti per l’acquisto di immobili, caviale e champagne. Parole profetiche per un politico che aborriva la partitocrazia fin dagli anni ‘50 e che potremmo prendere a motto anche per l’attuale situazione del nostro PRI: il partito ai repubblicani e, chi non lo è, cerchi altre strade, se lo ritiene. Ricordiamo oggi quanto Pacciardi amasse ripetere spesso che questa non era la Repubblica "sognata da Mazzini". Come non essere d’accordo. |